BIOGRAFIA LINGUISTICA

 

Mi sono da poco laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Udine. In questa biografia linguistica vorrei mettere in luce la particolarità della mia esperienza nell’ambito dell’apprendimento di una lingua straniera: si tratta del francese, una lingua che dalla nascita fa parte del mio bagaglio culturale e che poi ho scelto di studiare ed approfondire nel mio percorso di formazione scolastica.

         Come ho appena accennato, sono bilingue perché sin dalla nascita ho avuto familiarità con due sistemi linguistici. Infatti, i miei genitori decisero di esprimersi rispettivamente nella loro lingua materna: mia madre in francese e mio padre in italiano. Quindi, per essere più precisi, il mio bilinguismo è riconducibile alla tipologia per cui ad una lingua corrisponde un parlante. Nei miei primi anni di vita, le due lingue equivalevano per quanto riguarda la comprensione, ma divergevano nella produzione orale. Le mie prime parole sono state in italiano, proprio perché l’ambiente (mi riferisco alle relazioni con parenti o estranei e alla frequentazione della scuola d’infanzia) era in prevalenza italofono. Solamente verso i 3-4 anni, ho manifestato il desiderio di esprimermi in francese e questo è riconducibile all’ampliamento dell’ambiente. Infatti, in quel periodo, l’aumento degli incontri con i parenti francesi  metteva in evidenza lo scontro tra i miei limiti espressivi e il bisogno di  comunicare e, di conseguenza, di instaurare relazioni con questa parte della famiglia. In seguito, ho iniziato ad interrogare mia madre affinché traducesse singole parole dall’italiano al francese, fino ad estendere la richiesta a frasi intere. Con il tempo ho gradualmente acquisito padronanza nell’articolazione dei suoni ed autonomia nell’espressione.

         La fase più drammatica riguardo alle mie competenze linguistiche risale al periodo della formazione primaria. Non posso dire di avere un’effettiva consapevolezza di quel momento, in quanto non ho ricordi puntuali, però la problematica mi è stata riferita qualche anno più tardi. L’insegnante aveva constatato in me un certo ritardo nell’apprendimento dell’italiano scritto rispetto all’andamento medio della classe. A suo avviso, le difficoltà espressive e, in particolare, gli errori sintattici erano dovuti alla confusione dei due sistemi linguistici.

         Inoltre, di questo periodo ricordo distintamente la curiosità che suscitavo nei miei coetanei: mi chiedevano in continuazione la traduzione del mio nome, si accertavano della mia conoscenza del francese chiedendomi di formulare alcune frasi, s’informavano sulla Francia e in particolare si chiedevano se a casa mia usassi prodotti francesi e se avessi usanze diverse dalle loro. Dal mio punto di vista, le domande e i consecutivi giudizi non rappresentavano una semplice curiosità, ma diventavano motivo di discriminazione. Agli occhi dei miei compagni non ero italiana, ma francese e, viceversa, quando mi trovavo in Francia, le persone mi ritenevano italiana e non francese. Sembrava che la mia duplice origine culturale non mi permettesse di avere un’identità ben definita e questo rappresentava un ostacolo all’integrazione totale nelle due diverse comunità. Di fronte a questo fatto, ho vissuto un forte disagio, ma né i miei genitori né gli insegnanti sono riusciti a percepirlo.

         All’iscrizione presso la scuola secondaria inferiore non mi è stato possibile scegliere il francese per l’insegnamento della lingua straniera. L’istituto che ho frequentato, a differenza di altri, aveva previsto una sola lingua e si limitava all’inglese. Ho un’impressione piacevole di questa prima esperienza, ma ora non sono in grado di ricordare quali siano state le metodologie attuate dagli insegnanti. Per quanto mi riguarda, mi sembra di aver appreso con facilità e da un punto di vista più generale credo che la classe avesse raggiunto un buon livello di preparazione. Infatti, al terzo anno, eravamo tutti in grado di intrattenere una corrispondenza con i pen-friends, inglesi e non, contattati dai docenti.

         Ritengo che il desiderio di padroneggiare il francese allo scritto assieme al fascino esercitato dall’inglese abbiano influenzato la scelta del percorso formativo da intraprendere al termine della scola media. Inizialmente, avevo pensato ad un liceo scientifico tradizionale, ma dopo una riflessione ho optato per l’indirizzo linguistico. Il piano di studio prevedeva un percorso quinquennale per l’inglese e per il francese ed uno triennale per la terza lingua che poteva essere lo spagnolo o il tedesco.

         Per quanto riguarda l’inglese, credo di aver ottenuto risultati proficui solamente nel biennio, ovvero nel periodo in cui è stata approfondita la grammatica e la comprensione orale sostenuta da materiali audiovisivi. Nel triennio, il mio interesse per la disciplina si è affievolito a causa della nuova insegnante. In me si era creata una sorta di antipatia per la docente (forse reciproca), in quanto criticava il mio accento francese nella pronuncia inglese senza propormi tecniche di correzione. Nonostante ciò, l’intera classe si trovava in difficoltà di fronte all’insegnante. Si trattava di problemi dovuti al suo ritardo ad ogni ora di lezione, alle frequenti assenze, alla mancanza di autorevolezza e di organizzazione, ma soprattutto al suo modo di concepire la nostra formazione che, a posteriori, io definirei di tipo universitario. Probabilmente voleva renderci autonomi, ma non credo che all’epoca avessimo gli strumenti per farlo.

         Per quanto riguarda il francese, durante il biennio non ho avuto difficoltà nell’apprendimento. Rispetto agli altri, oltre all’evidente padronanza della lingua all’orale, ero facilitata nella comprensione e nella memorizzazione delle regole grammaticali proprio per le conoscenze già acquisite oralmente. Inoltre, di questo periodo, ricordo un fatto che ancora oggi mi lascia perplessa. Io ho sempre seguito il programma della mia classe, cioè non mi veniva fornito materiale aggiuntivo in relazione al mio bilinguismo, però a volte, durante le verifiche scritte, mi trovavo a dover svolgere due compiti: uno era quello previsto per la mia classe, mentre l’altro apparteneva ad una classe superiore e verteva su argomenti a me ignoti. Infine, durante il triennio ho scoperto la letteratura francese e me ne sono innamorata. L’insegnante era metodica e precisa, ma non sempre accattivante, poiché le sue lezioni non prevedevano molta partecipazione da parte degli studenti. D’altronde, quest’attività spettava alla figura del lettore, il quale aveva il compito di organizzare conversazioni, solitamente svolte su argomenti di civiltà francese, e di collaborare al programma di letteratura, avvalendosi anche di materiali audiovisivi. Per esempio, ricordo due particolari lavori che richiedevano la collaborazione di tutti i componenti della classe: nel primo, abbiamo analizzato due testi, una poesia ed una canzone accomunate per la tematica trattata, per poi realizzare un filmato in cui noi studenti eravamo attori; nel secondo, abbiamo letto individualmente un determinato romanzo del XIX secolo, in seguito abbiamo approfondito la comprensione del testo grazie all’ausilio di alcune schede di analisi ed infine abbiamo preso visione della versione cinematografica della storia. In queste due occasioni ho apprezzato la variazione della didattica, ma non credo di aver avuto un’effettiva consapevolezza delle finalità.

         Infine, per quanto riguarda lo spagnolo, non ho avuto alcun tipo di difficoltà. L’apprendimento mi risultava abbastanza facile, in fondo si trattava di un’altra lingua neolatina e quindi, a livello grammaticale, riuscivo ad individuare parallelismi con l’italiano e con il francese. Ricordo con simpatia i due docenti che hanno contribuito alla mia formazione. Il primo si era occupato dell’impatto iniziale con la lingua e la sua didattica era meticolosa. Questo professore dal carattere carismatico attirava l’attenzione e riusciva ad alternare armonicamente momenti ludici e momenti di serio lavoro. Invece, l’altra docente, nell’insegnamento della letteratura, riusciva a trasmettere valori aggiuntivi, in quanto colorava le sue lezioni con la propria sensibilità e passione. Per fare un esempio, nella mia mente si è fissata un’immagine di questo atteggiamento: ricordo che durante una lezione ho visto qualche lacrima scivolare sul viso dell’insegnante mentre leggeva alcuni versi di un poeta romantico.

         L’esperienza linguistica liceale mi aveva indotto a pensare seriamente ad un percorso universitario. Con non pochi timori, mi sono iscritta a Lingue e Letterature straniere ed ho indicato il francese come lingua quadriennale e lo spagnolo per la triennale. Il sistema universitario ha prediletto una formazione letteraria che nella maggior parte dei casi prevedeva studi e approfondimenti individuali. Solo in alcuni corsi sono stati esplicitati in maniera esauriente gli obiettivi relativi ad ogni prospettiva di analisi. Direi, allora, che in ambito storico-letterario, si tendeva a lasciare solo lo studente ed a privilegiare un sapere generale più che consapevolmente critico. Passando al lavoro sulla lingua, i lettorati erano ben strutturati: ad ogni attività teorica veniva fatta seguire un’attività pratica. In generale, ogni settimana lo studente era tenuto a presentare lavori scritti (esercizi grammaticali, traduzioni e analisi testuali) e a verificare le proprie conoscenze attraverso il dettato. Questi metodi hanno ovviamente contribuito ad un progresso qualitativo nella produzione scritta, ma contemporaneamente veniva tralasciata la comunicazione di tipo orale. Infatti, tra gli studenti si è diffusa l’idea che all’università non si riesce ad acquisire una vera e propria spontaneità espressiva. Forse questo non mi riguarda personalmente, in quanto il mio bilinguismo mi fa riflettere su altri parametri, per esempio, m’interrogo sul livello delle mie capacità espressive nelle due varietà linguistiche in relazione al livello di un parlante italiano o francese.

         In questo percorso ho tentato di riflettere criticamente sulla mia esperienza personale, seguendo un ordine cronologico. In ogni fase ho voluto evidenziare problematiche personali, mettendo in luce gli aspetti positivi e negativi riguardo al bilinguismo, all’attitudine degli insegnanti e alle metodologie didattiche assunte. Per concludere, mi auguro che dal confronto con le riflessioni apportate dai miei attuali colleghi si possa arricchire la mia esperienza in vista della figura professionale che ricoprirò.