Il primo approccio con la lingua straniera, non potendo vantare origini francesi né avendo mai avuto contatti con persone francofone durante la mia infanzia, ha avuto luogo il mio primo giorno di scuola media. Un nuovo ambiente, nuovi insegnanti ed insegnamenti, nuovi compagni ed una nuova lingua così simile all’italiano e al friulano, che da sempre mi hanno circondato, ma così affascinante che, fin dai primi passi, mi ha trasmesso una grande curiosità e un forte desiderio di cominciare a conoscerla ed impararla.

Ricordo ancora benissimo, quasi fosse ieri, l’impatto iniziale con l’insegnante: una donna dall’aspetto austero rimarcato dai capelli brizzolati, gli occhiali e l’impeccabile tailleur ma soprattutto dal tono di voce rigido e severo che si stagliava nel silenzio tombale che regnava in classe ad ogni suo ingresso. Quella professoressa così temuta, e poi anche tanto odiata da tutti i miei compagni, anno dopo anno è riuscita a trasmettermi un grande entusiasmo e un forte interesse per la sua materia tanto che, l’assoluta venerazione e stima che provavo nei suoi confronti, si è tradotta nell’amore per il francese che ho continuato a nutrire nel corso degli anni successivi.

“Nos amis français” era il titolo della prima unità didattica proposta dal nostro libro che proponeva una presentazione dei protagonisti dei dialoghi e delle vicende che ci avrebbero accompagnato per tutto il corso del triennio. Ricordo che, per permetterci di prendere familiarità con i primi rudimenti in lingua, ci veniva richiesto di osservare attentamente le immagini che, di volta in volta, correlavano i dialoghi e, sulla base delle nostre constatazioni ed ipotesi, di ricostruire quello che sarebbe stato il tessuto del testo. Ho sempre apprezzato questo tipo di approccio in quanto lo ritengo una fase necessaria, piacevole ed efficace poiché permette all’allievo di sviluppare le capacità di ragionamento, immaginazione e deduzione che sono funzionali all’apprendimento e alla memorizzazione del lessico associato alle rappresentazioni iconografiche.

E poi ascolto, poesie da imparare e poi recitare in classe, riproduzione di dialoghi in contesti di vita quotidiana e tanta, tanta grammatica in tutte le sue sfaccettature.

Mi sono quindi iscritta al Liceo Classico Stellini a Udine dove, nonostante, al tempo, l’insegna-mento della lingua straniera fosse limitata al biennio del Ginnasio, ho optato per la sperimen-tazione che mi avrebbe permesso di protrarre lo studio del francese per i successivi tre anni.

Anche in questo contesto ho avuto la fortuna di incontrare un’insegnante altrettanto valida che mi ha fornito ulteriori stimoli e che mi ha costantemente motivata a coltivare la passione per la lingua facendomi scoprire il mondo della letteratura, oltre che l’approfondimento e il consolidamento della grammatica (ogni quindici giorni era diventata di rito la tanto temuta e detestata provetta sui verbi la cui fondamentale importanza l’ho riscontrata e compresa solo in seguito…!)

La scelta per l’indirizzo universitario non poteva che ricadere sulla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, sempre a Udine: al francese, come prima lingua, ho ritenuto opportuno affiancare l’inglese che mai, prima d’allora, avevo avuto la possibilità di studiare.

Col senno di poi, mi rendo conto di aver fatto una scelta azzardata supportata dal fatto che il livello richiesto era avanzato ma, essendo una persona caparbia e che non si lascia troppo demoralizzare, seppur da autodidatta e con l’aiuto del CLAV, sono riuscita a sostenere tutti gli esami previsti, ottenendo anche dei risultati appaganti.

Per quanto riguarda lo studio del francese, invece, il percorso è stato lineare e ricco di soddisfazioni tant’è che mi sono laureata con il massimo dei voti e la lode, discutendo una tesi sulla colonizzazione francese in Africa basata sull’analisi di articoli tratti da tre importanti riviste francesi del secolo scorso che focalizzavano l’attenzione sulle implicazioni sociali e psicologiche che tale opera di conquista ha comportato sulle popolazioni sottomesse.

L’università mi ha sicuramente dato tanto e mi ha fornito validi strumenti per arricchire il mio bagaglio culturale ma un aspetto che, come tanti miei compagni, ho lamentato, è stata l’impostazione troppo spesso passiva e frontale dei corsi che ha completamente penalizzato la conversazione e l’utilizzo della lingua parlata.

Dopo il conseguimento della laurea, ho partecipato ad un concorso indetto dal Miur per l’incarico di assistente di lingua italiana all’estero che mi ha dato l’opportunità di lavorare, per sette mesi, presso tre licei di Grenoble, una bellissima città del sud-est della Francia.

È stata sicuramente la più bella esperienza della mia vita: oltre ad avermi fatto crescere come persona (solo allora posso dire di essere diventata veramente adulta!), mi ha arricchita tantissimo dal punto di vista culturale e linguistico ponendomi costantemente a rapportarmi con un contesto di vita assolutamente diverso e con la pratica concreta della lingua. Ho avuto la possibilità di mettermi alla prova nelle più svariate situazioni della vita quotidiana e  di sperimentare dei contesti lessicali specifici e, fino ad allora a me sconosciuti o ancora impraticati (la banca, le agenzie di locazione, la burocrazia, la scuola).

Grazie alla televisione, al cinema e alla musica (elementi costanti in ogni mia giornata) ho acquisito sempre maggiore familiarità con la lingua e ho ampliato le mie conoscenze.

Questa, in primis, e le altre esperienze lavorative nel campo della scuola in Italia, mi hanno fatto capire che quella dell’insegnamento è la strada che intendo seguire: sono consapevole dei miei limiti ma credo anche che, nella vita, non si finisce mai di imparare e che l’entusiasmo, l’amore per quello che si fa e la volontà di perseguire fortemente un obiettivo, possano aiutare a realizzarsi.