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Umberto
Galimberti: Cristianesimo - la religione dal cielo vuoto
Milano, il 18 novembre 2012
Il dio è giorno
notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta come il fuoco, quando
si mescola ai profumi odorosi, prendendo di volta in volta il loro aroma.
L'uomo ritiene giusta una cosa e ingiusta l'altra, per il dio tutto è bello,
buono e giusto. (Eraclito)
Noi siamo qui a discutere del sacro e del non
sacro, che sono due cose nettamente diverse. Sacro è una parola indoeuropea che
vuol dire separato e fa riferimento a potenze che gli uomini avvertono come
superiori a loro, e in qualche modo le temono, e al tempo stesso ne sono
attratti, come lo si può essere per l'origine da cui si è provenuti. Tutta
l'umanità è uscita dal sacro, anzi l'umanità nasce proprio con questa uscita, e
che cos'è questo sacro? Il sacro è caratterizzato dalla confusione di tutti i
codici, il sacro è benedetto e maledetto, contamina il bene con il male, il
giusto con l'ingiusto, il vero con il falso, e in un certo senso è la
proiezione della nostra follia, su grande schermo l'umanità ha proiettato la
follia che ospita dentro di sé. Il sacro prevede degli spazi separati rispetto
al mondo profano, si chiamano templi, chiese, moschee, e tempi separati: i tempi festivi sono sacri, i tempi feriali
sono invece affidati alla quotidianità, del lavoro, della produzione, della convivenza
nella comunità. Prevede anche dei sacerdoti, i quali hanno un piede nel sacro e
un piede nel profano perché devono mediare tra queste due istanze.
Vogliamo dire che cos'è, vogliamo tentare una
definizione, possiamo dire che il sacro è il luogo della contaminazione dei
contrari, in qualche modo la sua configurazione è quella di essere
indifferenziato. Nel mondo dell'indifferenziato non c'è alcuna possibilità di
convivenza, e neppure nessuna possibilità di dialogo, perché le cose sono
ambivalenti, giocano su molti registri, non c'è una definizione delle cose.
Eraclito dice: il dio è giorno e notte,
sazietà e fame, pace e guerra, inverno ed estate e si mescola con tutte le cose.
In un contesto del genere l'umanità non può vivere. Sempre Eraclito dice: l'uomo ritiene giusta una cosa e ingiusta
l'altra, mentre per il dio tutto è bello ,tutto è buono e tutto è giusto.
Giusta una cosa e ingiusta l'altra: che differenza c'è tra queste due
posizioni?
L'umanità esce dal sacro attraverso la
ragione, e che cos'è ragione? La ragione è una macchina che instaura differenze
e stabilisce che questa bottiglia è una bottiglia e non altro, come dice il
fondamento della ragione che è il principio di non contraddizione. Ma è vero
che la bottiglia è una bottiglia e non altro? No, non è vero, perché io questa
bottiglia, quando la prendo in mano, vedo che nessuno si agita perché tutti
pensano, secondo il principio di non contraddizione, che la bottiglia è la
bottiglia e non altro. Ma io questa bottiglia la potrei scaraventare in prima
fila e allora la bottiglia cambia significato, e diventa un'arma impropria.
Tutte le cose sono ambivalenti, polivalenti quanto al loro significato e in un
contesto di polivalenza non è possibile convivere. Se io dico "apro quella
porta", se la porta è la porta e non altro non c'è nessuna difficoltà che uno
apra la porta, ma se quella porta è la porta ma anche la porta dell'Inferno
allora subentrano delle titubanze come sempre capita negli scenari
allucinogeni, per esempio della schizofrenia. E allora che cosa succede?
Succede che per contenerci da questa ambivalenza, da questa polivalenza di
significati che è il sacro, per contenerci abbiamo dovuto inventare la ragione,
la quale si fonda su quel principio cardine che è il principio di non contraddizione,
che dice che una cosa è sé stessa e non altro. La ragione dice la verità? No,
la ragione non dice la verità: la verità abita il sacro, una cosa è sé stessa
ma anche altro. Lo sanno bene i bambini, che non sono arrivati all'età della
ragione, i quali utilizzano le cose secondo una molteplicità di accezioni e di
significati per cui i bambini vanno continuamente curati, perché non essendo
arrivati all'età della ragione non stanno al principio di non contraddizione,
non dicono il bicchiere è il bicchiere e non altro, il bicchiere diventa tante
cose, anche pericolose, c'è un'oscillazione di significati di chi non è
arrivato all'età della ragione, per cui i bambini vanno continuamente accuditi.
Ma questa fuoriuscita dall'età della ragione è una caratteristica anche dei
poeti: quando Leopardi dice: dimmi che
fai, tu, Luna in ciel, dal punto di vista logico - razionale si sa
benissimo cosa fa la Luna in cielo, gira intorno alla Terra come la Terra gira
intorno al Sole. La domanda non ha nessun senso, però acquista senso la sua
condizione che io faccia oscillare la parola Luna, e da astro quale è, la Luna
è un satellite e nient'altro, ecco smargina su questo nient'altro e dico "la
Luna è la Luna, ma anche un'interlocutrice". E solo con questa smarginazione,
con quest'aggiunta di significato si giustifica il testo poetico del Leopardi,
e soprattutto la sua domanda dimmi che
fai, tu, Luna in ciel.
I bambini, i poeti, i folli: i folli abitano
il sacro, abitano l'oscillazione dei significati, abitano la confusione dei
codici, non hanno la speranza dei bambini di arrivare all'età della ragione e
neanche quella dei poeti di entrare, dopo la smarginazione dei significati,
nella logica razionale. Anche i poeti rischiano quando creano figure d'arte o
di poesia potenti, Heidegger li definisce "i più arrischianti" e Jaspers,
psicopatologo e filosofo, il più grande psico-patologo del 1900, dice "ogni
volta che noi ammiriamo la perla di una
conchiglia dimentichiamo che la perla è la malattia della conchiglia". Alla stessa maniera, quando
ammiriamo un'opera d'arte dimentichiamo la malattia sottesa a quest'opera
d'arte, perché solo nell'immersione della follia, ossia del sacro, ossia della
confusione dei codici, solo a quella dimensione è possibile un evento creativo.
La ragione non crea niente, la ragione è un
sistema di regole con cui noi ci intendiamo, ma dalla ragione, proprio perché è
un sistema di regole, non nasce nulla. Però è molto utile, è molto utile perché
definendo, ponendo fine al significato delle parole, determinando, ponendo
termine al significato che le cose possiedono noi abbiamo la possibilità, ogni
volta che nominiamo una parola, di dire una cosa precisa e non altro. Però
dobbiamo saperlo: la ragione è una convenzione che gli uomini si sono dati, una
convenzione che consente di ridurre quello che è lo stato più terribile per
l'umanità, che consiste nell'angoscia dell'imprevedibile. L'umanità ha fatto
degli sforzi enormi per uscire dall'angoscia dell'imprevedibile, perché là dove
tutto è imprevedibile non c'è possibilità, appunto, di organizzare un mondo e
la prima modalità con cui l'umanità è uscita dall'imprevedibile sono stati i
riti delle popolazioni primitive, dove era stabilito che cos'è totem e che
cos'è tabù ,che cos'è lecito e che cos'è proibito, che cos'è concesso e che
cos'è negato. Attraverso questi codici l'umanità ha incominciato a orientarsi
tra quello che era possibile fare e quello che non era possibile fare. Jung
racconta, per esempio, che un giorno andò a visitare la tribù dei Vacandi,
assistette ad una loro festa di Primavera e vide che costoro tagliavano la
fossa nella terra a guisa di genitale femminile: attorno a questa fossa
gettavano delle lance a guisa di genitali maschili e intorno cantavano
"pulimira - pulimira - vadacà ", che lui traduce con questa non è una fossa, non è una fossa, è una vagina. Jung dice
che questa popolazione trasferiva la forza sessuale in forza lavorativa e la confusione
dei codici funziona solo all'interno della tribù. I greci pensano che questo
non è sufficiente: per parlare a tutti gli uomini servono delle regole razionali,
che Platone ha inaugurato con il principio di non contraddizione e il principio
di causalità. Il secondo principio è molto potente e dice che, se in presenza
di una causa prevedo l' effetto, l'accadere dell' effetto non mi spaventa, ma
se non conosco la causa sì. Pervenire la ragione non identifica la verità in
essa, noi siamo ragionevoli ma anche folli : Basaglia dice che " la follia
è una condizione umana al pari della ragione".
Attenzione a consideraci solo ragionevoli. È
sufficiente che voi ragioniate sui vostri teatri notturni: nei sogni non
funziona il principio di non contraddizione e d'identità, nel sogno io sono
presente e assente, sono maschio o magari anche femmina, sono adulto o magari
bambino, non funziona il principio di causalità perche spesso nei sogni è l'
effetto che produce la causa. Non funziona la dimensione spaziale, un sogno inizia
nell' Impero Romano e finisce a New York, non funzione la dimensione temporale,
la ragione va in blackout. Nel sogno la ragione, o coscienza, o psiche, (assumiamo
sempre le equivalenze che danno più significato alle differenze) l'orgoglio
nazionale si acquieta e viene fuori quello che propriamente noi siamo, cioè la
nostra follia. La follia è ciò per cui io sono diverso da te e sono me stesso, perché
dal punto di vista razionale siamo tutti uguali. I greci, che sono stato il
popolo più intelligente mai apparso sulla
faccia della terra, nella loro comunicazione verbale avevano, come noi in
italiano, il singolare e il plurale. Quest'ultimo è il volto della razionalità:
quando io parlo a molti, uso il linguaggio razionale. Il singolare, invece, è
il luogo imminente dove traspare la follia, perché nelle nostre associazioni
private, nei nostri sovrappensieri, nei nostri incantamenti noi siamo nelle
adiacenze o nella comunicazione con la nostra follia. Infatti ci vergogneremmo
come ladri se dovessimo esplicitare quello che nel soliloquio dell'anima
andiamo pensando.
I greci
hanno introdotto anche il duale, il dialogo tra due. Il dialogo tra due è molto
intenso, simbolico, potente ma anche molto forte. Questa bottiglia con cui io e
te ci siamo incontrati, abbiamo bevuto per la prima volta all'inizio del nostro
amore, questa bottiglia non rientra nella serialità delle bottiglie, non è
uguale alle altre, è una bottiglia che fuoriesce da ciò che propriamente è e diventa
la simbolica del nostro incontro, per cui tutti possono spaccare qualsiasi
bottiglia ma non quella bottiglia. Questa bottiglia si carica di una potenza di
significato che è una potenza folle, la stessa potenza folle per cui, dovendo
vendere la casa dei nostri genitori, non ci riusciremmo mai, perché nei
confronti di quella casa abbiamo una carica emotiva e simbolica che ce la fa a
valutare oltre ogni regola e ragionevolezza. Per poterla vendere e metterla sul
mercato dovremmo darla a un'agenzia che la scarica della sua valenza simbolica
e la consegna ai suoi semplici metri quadri. Perciò la follia ci abita, ci
accompagna e ci caratterizza.
Nella dimensione duale accadono delle
comunicazioni potentissime: se dico "ti amo" potrei lì il discorso dal punto di
vista logico razionale. Ma se sentite due innamorati dirsi ti amo, non finisco
di cercare il come, il quando, i comportamenti, mi dice la verità, mi sta
ingannando, guardami negli occhi. Perché la dimensione logico razionale è
insufficiente a tirar fuori tutta quella dimensione simbolica di cui si carica
il linguaggio quando è contaminato dalla follia.
Freud dice che l'innamoramento è
sostanzialmente un delirio, che però ha il vantaggio che dura poco, perché dopo
subentra la struttura della ragione. Un delirio perché, quando uno dice "senza di te mi cade il mondo", è
chiaro che il mondo non cade, quindi sta
oggettivamente delirando. Però in questo delirio sta facendo vedere
un'intensità espressiva e simbolica che è possibile solo assumendo le parole
aldilà della ragione, attingendo allo scenario della follia. Platone dice gli
amanti che passano la vita insieme non sanno cosa vogliono gli uni dagli altri,
allora è evidente che non è per
piaceri carnali che amano passare così tanto tempo insieme: dobbiamo,
allora, dire che hanno cose da dire che non riescono a dire e perciò parlano in
modo enigmatico e buio. Allora c'è un'insufficienza del linguaggio nella
relazione duale, nelle relazioni d'amore. L'amore platonico non è guardarti
negli occhi, l'amore platonico è carico di senso, di carne, di coiti, ma la
cosa interessante che si ricorre al corpo perché il linguaggio è insufficiente,
perché la ragione non basta, hanno cose da dire che non riescono a dire e
perciò parlano in modo enigmatico. L' enigma
appartiene alla follia: il problema prevede una soluzione, l'enigma no.
Gli uomini per difendersi dal sacro, dalla
contaminazione del significati, dalla impossibilità di convivere quando i
significati oscillano, hanno collocato questo scenario della follia invasiva
fuori dalla loro comunità e precisamente nel mondo degli dèi.
Abbiamo esempi nella cultura romana e greca. Racconta
Omero che un giorno Agamennone sottrasse ad Achille la sua schiava Briseide , e
Achille smise di andare in battaglia. Quando Achille non combatteva le cose per
gli achei non andavano tanto bene, allora Ulisse organizzò una strategia: non
si poteva chiedere ad Agamennone, il capo degli Achei, di chiedere scusa e
riconsegnare la schiava perche avrebbe perso la sua regalità. Allora Ulisse
organizzo dei giochi, nei giochi i si mettevano in palio dei premi : i tori, le
belle cinture, le fanciulle ben ornate. Achille vinse la sua gara e riportò a casa Briseide. A quel punto
Agamennone disse ad Achille: ‘'Achille, tu sai quanto sono tremende le atai '', le violenze, le dissennatezze
che gli dei mettono nella mente degli uomini. E non era una scusa perché Achille
rispose: ‘'Sì, conosco queste cose, so quanto gli dei possano rendere
dissennato un uomo e fargli compiere le cose più tremende e terribili. Questo
significa che la comunità umana vuole mettere altrove, nel mondo degli dei,
tutto ciò che potrebbe sconvolgerla e rompere la qualità delle relazioni, che
in una comunità si devono esprimere nella quiete come condizione della pace. E
i sacrifici agli dei non avvengono per ottenere cose, non c'è nessun sacrificio
che chiede a qualcuno dammi qualcosa se non nei dettami delle religioni odierne. I sacrifici venivano
fatti per tenere lontano gli dei, perché la loro invasione era terrificante. Un
altro scenario dove si verificano le stesse cose, in cui viene in luce l'azione
indifferenziata del sacro è, per esempio, lo scenario descritto da Sofocle
nell' Edipo Re o nell'Edipo a Colono, in cui ad un certo punto egli vuole
sapere la sua origine, dopo aver conquistato la città per aver allontanato la peste
da Tebe e incoronato dai Tebani re sovrano, gli era capitato di sposare la
regina, che era sua madre. Un certo giorno Edipo vuole conoscere la sua
origine: il sacerdote Tiresia gli dice ‘'Meglio per te non sapere''. Questo sta
a dire che non possiamo andare nel mondo della follia con tranquillità e poi
essere sicuri di uscire. ‘'Meglio per te non sapere'', ma Edipo insiste e
Tiresia gli dice infine ‘'Sì, tu hai ucciso tuo padre e hai sposato tua
madre''. Bene Edipo è entrato nella confusione dei codici, è il figlio della
madre che sposa. E' entrato nel Sacro, nell'Indifferenziato: la madre non è la
madre ma è anche la sposa, lui non è solo figlio ma anche il marito della sposa
che è sua madre ... la confusione dei codici. E, giustamente, Freud assume il
complesso edipico come la macchina dello sviluppo psichico, che gli
psicoanalisti non capiscono assolutamente, perché quello che si gioca in questo
territorio è la fuoriuscita dalla dimensione sacrale in cui i bambini, come
prima abbiamo detto, nuotano. Dopo di che è ovvio che non gli spetta altro che
fare quel gesto di accecarsi perché non si può più vedere il mondo nelle sue
differenze dopo che si è entrati nel scenario spaventoso dell'Indifferenziato.
Edipo si acceca e se ne va nel bosco, solitario, pensando alla sua sorte
infelice. Euripide ci da un altro scenario dell'immissione del sacro nella comunità.
Nelle Baccanti Dioniso entra nella città,
Penteo sovrano perde la sua regalità, crolla il palazzo del re, le donne
salgono sul monte citereo agitando il tirso, i vecchi si comportano come
bambini ... il disordine totale. Il coro chiede ad un certo punto: ‘'Ma non
possiamo allontanare il dio?'', e dopo un po' di passaggi è il coro stesso che
si risponde: ‘'Nessun uomo può allontanare il dio, bisogna che il dio si allontani
da solo''. E questo perché le potenze della follia sono enormemente superiori a
quella piccola vetta, a quella piccola capacità di contenimento che è
costituita dalla ragione. Pensate che attorno al 1800, gli psichiatri del 1800,
quando facevano la prognosi ad una persona dimessa dal manicomio, perfino nella
firma del medico c'era l'espressione ‘'DC'', ‘'Deum concedentem'', se il dio
concede di abbandonare la mente di quest'uomo, quest'uomo può forse tornare
nella sanità mentale. Per quanto riguarda la cultura greca, che è una delle due
fonti della tradizione occidentale, l'altra tradizione giudaico-cristiana si
comporta esattamente alla stessa maniera. Quando Abramo riceve l'ordine di
sacrificare suo figlio, è un Dio che ordina l'infrazione del quinto
comandamento, è un Dio che ordina l'infrazione dell'etica. Kierkegaard ha
dedicato pagine stupende a questo episodio di timore e tremore, dice che la
dimensione religiosa oltrepassa l'etica, di gran lunga oltrepassa l'etica. Non
si può entrare nello stadio religioso se non si è oltrepassata l'etica, perché
che cos'è l'etica? L'etica non è altro che una serie di regole di convivenza., ma il Dio abita aldilà delle regole di
convivenza non sta alle regole del do ut
des, non sta alle regole dell'equivalenza. I due si incamminano, Abramo ed
Isacco su un monte. Ad un certo punto Isacco dice: "Ma, padre, abbiamo la
legna, abbiamo il fuoco, ma dov'è la vittima?" e il padre: "Non ti
preoccupare, Dio provvederà alla vittima." Quello che mi importa però è
che lo stadio religioso non coincide con lo stadio etico ma lo oltrepassa di
gran lunga. Lo vediamo anche quando Javè dà a Mosè le leggi, i comandamenti.
Prima di apparire Javè dice a Mosè: "Nasconditi dietro quel rovo, perché
nessuno può vedermi sopravvivere." Con Dio non c'è un faccia a faccia. G,
un poeta francese morto due tre anni fa, ebreo, dice certo,
con Dio non ci può essere un faccia a faccia, perché tutte le facce sono sue.
Ancora una volta vedete come la dimensione del sacro com'è indifferenziata,
com'è indiscernibile come ciò da cui non è evocabile un'identità, una
differenza. Gli dei greci si concedono a tutte le metamorfosi ma che cosa vuol
dire metamorfosi? Che l'identità viene continuamente commutata in altre figure
per cui Zeus è si il padre degli dei ma è anche Crono, è anche Fulmine, è anche
Toro. Non tiene la propria identità. Ma anche il Dio cristiano in quanto
onnipotente può essere e fare tutte le cose e i loro contrari. Ultimo
riferimento lo facciamo a proposito di Giobbe il quale chiede a Dio di
ragionare. Dice Io sono un uomo giusto e ora in che condizioni mi trovo? Ho la
lebbra, mia moglie se n'è andata, i miei amici mi hanno abbandonato, altri
quando vengono a trovarmi mi dicono ma forse se ti sono capitate tutte queste
disgrazie non sei tanto giusto come credevi. Incomincio con la tarda metafora
in cui quando uno si ammala in fondo in fondo è colpevole no? Anzi tutta la
medicina preventiva gioca su questo registro: i tuoi vizi ti faranno ammalare.
A prescindere da queste conseguenze perde il bestiame, i figli si allontanano,
gli amici vengono a fargli questo ragionamento forse non se tanto giusto. Lui
invoca a Dio giustizia. Se sei un Dio giusto queste cose non gli possono
capitare cioè cerca di far ragionare Dio ma non si può far ragionare Dio. Dio
abita altrove, Dio è aldilà della do ut des,
della regola della ricompensa per meriti, non c'è questa cosa, Dio è fuori da
questo scenario. Quando vi raccontano
questo episodio di solito sottolineano la pazienza di Giobbe una virtù inutile,
perché quando uno sta male non può che essere paziente e sopportare il male che
ha. Invece il gioco più bello lo fa Dio, alla fine, quando viene interrogato da
Giobbe, risponde con estrema chiarezza: "Dimmi, tu dov'eri quando io
mettevo la terra sui suoi pilastri? Dimmi dov'eri quando io riempivo il cielo
di stelle e le acque di animali marini, dov'eri tu?". "Sono domande da fare a me che c'hai la
lebbra, è scappata la moglie, gli amici ti accusano, i figli non ci sono, gli
animali sono morti, sono domande da fare a me? C'è proporzione tra questo tuo
interrogare la giustizia e la mia potenza?" Intanto, della lettera io vi
ho citato solo il primo versetto, ma l'ira di Dio si protrae per due colonne,
che di solito non vengono mai lette ma che stanno a significare proprio
l'aldilà del divino rispetto all'umano, il suo abitare il mondo del sacro e
dell' onnipotenza, che non ha niente a che fare con la giustizia retributiva, non
ha niente a che fare con le regole della ragione e neanche con l'etica, che non
è altro che un' applicazione pratica delle regole della ragione.
Ma chi senza la follia delle Muse si avvicina
alla poesia convinto di diventar poeta per averne acquistato la tecnica,
inutile è a lui la sua arte perché, di fronte alla poesia dei folli, la poesia
del saggio ottenebrata scompare.
(Platone, Fedro)