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SDuz - Traduzione (The Love Song of J. Alfred Prufrock by T.S. Elliot)
by SDuz - (2013-03-21)
Up to  5A - T.S.Eliot. Modernist Poetry and The Waste LandUp to task document list

The Love Song of J. Alfred Prufrock by T.S. Elliot, Traduzione

 

E allora andiamo, tu ed io 

quando la sera s'allarga nel cielo 

come un malato eterizzato disteso su di un tavolo; 

per certi vicoli andiamo, solitari, 

bisbigliare di rifugi 

di notti senza quiete in locande a poco prezzo 

e ristoranti cosparsi di segatura e valve d'ostriche: 

vie che come un'ossessione si susseguono 

con il molesto proposito 

di condurti a una qualche opprimente domanda ... 

Oh, non domandare "Che cosa?" 

Andiamo a compiere la nostra visita. 

 

Nella sala entrano ed escono donne 

parlando di Michelangelo. 

 

La gialla nebbia che struscia il suo dorso sui vetri 

il fumo giallo che struscia il suo muso sui vetri 

con la sua lingua leccò gli estremi della sera, 

sostò sopra le pozze stagnanti delle fogne, 

si lasciò piovere addosso la fuliggine dei camini 

scivolò sulla terrazza e improvviso spiccò un balzo 

e vedendo ch'era una bella sera di ottobre 

si arricciò intorno alla casa, e cadde assopito. 

 

E in verità ci sarà ancora tempo 

per il fumo giallo che lambisce la strada 

sfregando la sua schiena contro i vetri 

ci sarà tempo, ancora tempo 

per preparare un volto per incontrare i volti che incontri; 

ci sarà tempo per ammazzare e generare, 

tempo per ogni fatica e giorni e mani 

che levano e lasciano cadere la domanda sul tuo piatto; 

tempo per te e tempo per me 

e tempo per cento pensamenti 

e un centinaio di visioni e revisioni 

prima di prendere un toast e un tè. 

 

Nella sala entrano ed escono donne 

parlando di Michelangelo. 

 

E certamente ci sarà tempo 

di domandarsi "posso osare?" e, "posso osare?" 

tempo di volgersi e scender la scala 

con un poco di chierica in mezzo ai miei capelli, 

(diranno "come si sono diradati i suoi capelli!")

il mio vestito da mattino, il mio colletto inamidato fino al mento 

la mia cravatta ricca e modesta, ma fissata da un semplice spillo 

(diranno "che esili gli sono diventate le braccia e le gambe!") 

potrò osare 

sobillare l'universo? 

In un attimo solo il tempo 

per decidere e disdire ciò che un attimo soltanto invertirà. 

 

Perché conosciute le ho tutte, tutte conosciute: - 

conosciuto le sere, i mattini, i pomeriggi, 

ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè; 

so delle voci morenti che muoiono in declino 

sotto la musica che viene da una stanza più lontana. 

E come potrei pensarlo? 

 

E ho conosciuto tutti gli occhi, tutti conosciuti - 

gli occhi che ti inchiodano in una frase definita 

e quando sono definito, appuntato a uno spillo, 

quando sono trafitto e mi divincolo sul muro 

come allora potrei iniziare 

a sputare i monconi tutti dei giorni e delle abitudini? 

E come potrei pensarlo? 

 

E ho già conosciuto le braccia, tutte conosciute - 

braccia ingioiellate e bianche e nude 

(ma svilite, a una luce di lampada, da una scura peluria!) 

É il profumo che emana da un vestito 

che mi fa così digredire? 

Braccia distese su un tavolo, o avvolte in uno scialle. 

E come potrei pensarlo? 

E come potrei cominciare? 

... 

Direi, ho camminato al crepuscolo per vicoli stretti 

e ho spiato il fumo che sale da pipe 

d'uomini soli in manica di camicia affacciati a finestre? 

...

Avrei potuto essere un paio di robusti artigli 

che graffiano il fondo di mari silenziosi. 

... 

E il pomeriggio, la sera, dorme così in pace! 

accarezzata da lunghe dita, 

assopita... stanca... o solo fingendosi malata, 

distesa sul pavimento, qui fra te e me. 

Potrei allora, dopo il tè e i dolci e i gelati, 

aver tanta energia da forzare alla sua crisi? 

Ma benché abbia pianto e digiunato, pianto e pregato, 

nonostante abbia visto il mio capo (già un po’ calvo) su un piatto di portata,

non sono un profeta - e questo poco importa; 

ho veduto l'attimo della mia grandezza vacillare 

ho veduto l'eterno Galoppino porgermi il cappotto e sogghignare 

e a tagliar corto, ero impaurito. 

 

E ne sarebbe valsa, dopo tutto, la pena, 

dopo le coppe, le marmellate, il tè 

fra le porcellane, fra qualche chiacchiera tua e mia 

ne sarebbe valsa la pena nel frattempo 

prender di petto sorridendo l'argomento 

contringere l'universo in una sfera 

sospingerlo verso un'opprimente domanda 

dire "io sono Lazzaro, vengo dall'oltretomba, 

ritorno per narrarvi tutto, vi dirò tutto" - 

se una, assestando un guanciale presso il suo capo dicesse: 

"non è per nulla questo che intendevo. 

Non questo, per nulla." 

 

E ne sarebbe valsa, dopo tutto, la pena, 

ne sarebbe valsa la pena 

dopo i tramonti e i cortili e le vie irrorate di pioggia, 

dopo i romanzi, le tazze di tè, dopo gli orli 

delle gonne strascicate sul pavimento - 

e questo e altro ancora? - 

È impossibile dire ciò che penso! 

Ma è come se una magica lanterna gettasse la trama dei nervi su uno schermo 

ne sarebbe valsa la pena 

se una, assestando un cuscino o gettando via uno scialle, 

e volgendosi alla finestra dicesse: 

"Non è per nulla questo, 

non è questo che intendevo, per nulla" 

... 

No! Non sono il principe Amleto, non era mio destino; 

sono un uno della corte, uno qualunque per 

ingrossare il corteo, iniziare una scena o due, 

avvisare il principe; facile strumento, senza dubbio, 

ossequioso, contento d'essere utile, 

equilibrato, prudente, preciso; 

pieno di nobili sentenze, ma un po' tardo; 

a volte, in verità, quasi patetico - 

quasi, a volte, il Giullare. 

 

Sto invecchiando... sto invecchiando... 

Porterò l'orlo dei miei pantaloni arrotolato.

 

Scriminerò i miei capelli all'indietro? Oserò addentare una pesca? 

Porterò i pantaloni bianchi di flanella e camminerò sulla spiaggia. 

Ho udito le sirene cantare, l'una all'altra. 

 

Non credo canteranno per me. 

Le ho viste al largo, cavalcioni sull'onde 

pettinare i bianchi capelli della risacca 

quando il vento sospinge l'acqua bianca e nera.

 

Abbiamo troppo indugiato nelle stanze del mare 

con figlie le del mare inghirlandate d'alghe rosse e brune 



Notes on Dramatic Monologue

T.S. Elliot, in The Love Song of J. Alfred Prufrock, uses the DRAMATIC MONOLOGUE. It is a monologue, realized as a poetic text, in which the poet commits his thoughts and his ideas to a speaking voice ( in this case to Prufrock) called dramatis personae or "maschera". 
It is callled dramatic monologue because it is similar to a soliloquy in dramatic plays where the character/actor is talking to himself while the audience is listening. 
Dramatic monologue allowds the poet to take the distances from both the reader and the character. It follows that he has an emotional distance that will lately be known as impersonality of the artist. 
Last but not least, the dramatic monologue permits the reader to penetrate the most intimate and deepest part of the character who, through what he says and especially through what he doesn't say, reveals, to the intelligent and careful reader, all the things he is trying to hide.