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MGiavedoni trascrizione intervista Piero pt2 "Il percorso lavorativo"
by MGiavedoni - (2013-04-01)
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Q: Terminata adesso la sezione riguardante l'università, quindi la formazione e l'educazione, adesso passiamo alle domande inerenti all'ambito professionale e le chiedo se brevemente può descriverci la sua attuale condizione professionale-lavorativa.

A: Io adesso faccio l’ortopedico e dirigo servizio di Ortopedia in una struttura triestina. La struttura che dirigo riesce ad eseguire circa 1500 interventi di chirurgia ortopedica all'anno. I nostri cavalli di battaglia sono la chirurgia protesica, ossia sostitutiva con protesizzazioni per artrosi di anca e ginocchio, la chirurgia della spalla, la chirurgia artroscopica dei legamenti del ginocchio e soprattutto, la chirurgia del piede di cui io mi occupo in prima persona. Di chirurgia del piede facciamo circa 700 interventi all'anno: sono numeri a dir poco di livello nazionale. La carta vincente del nostro servizio è stata quella di aver capito già nei tempi che furono, ma veramente era stata un'intuizione, una strada che mi aveva aperto il mio maestro, dicendomi che la chirurgia non era più soltanto specialistica ma super specialistica, e di conseguenza il servizio è stato impostato in maniera tale da circondarmi di collaboratori di cui ognuno facesse a livello super specialistico un determinato tipo di chirurgia. Abbiamo un’equipe che si occupa della protesica, un’equipe che si occupa della spalla, un’equipe per il piede, una per la parte artroscopica e così via. In questa maniera, restringendo il campo di azione, si riescono ad elevare le prestazioni. Sempre rubando una frase al mio maestro, che purtroppo non c'è più da anni, un giorno mi aveva detto ‘’Sai il pavimento a terra te lo mette bene il muratore, ma il piastrellista te lo mette meglio’’ e questo concetto è chiaramente applicabile in ogni branca chirurgica ortopedica  e non soltanto.

Q: Questa insomma  è la situazione attuale, il livello finale di una carriera lavorativa. Quando però si finisce all'università , quali sono state le offerte, le possibilità lavorative che le si sono nel suo caso prospettate a termine del suo percorso formativo?

A: Quando mi sono laureato c'era l'obbligatorietà di un tirocinio pratico ospedaliero che durava sei mesi, dopo dei quali avevo già scelto di intraprendere la branca specialistica ortopedica. Mi sono messo a seguire da medico ospite, quindi non remunerato, il servizio di ortopedia. Un po' alla volta mi sono fatto conoscere, mi sono iscritto alla specializzazione di ortopedia, che all'epoca era fuori Trieste: queste specializzazioni sono sempre a numero chiuso, bisogna sostenere degli esami per poter accedere. I numeri sono piuttosto bassi quindi non era facile entrare: all’epoca si lavora e si studiava contemporaneamente, mentre oggigiorno le due cose sono un po' disgiunte, nel senso che chi si iscrive alla specializzazione deve frequentare la specializzazione ed ha immediatamente uno stipendio da medico specializzando. All'epoca le due cose erano disgiunte: uno poteva iscriversi esclusivamente alla parte specialistica e non lavorare. La prassi era che si lavorava e si studiava. Venivano fatti degli esami chiaramente ogni anno; c'era un altro libretto universitario e altre cose come adesso, la tesi finale e così via. Quindi superata la parte della specializzazione ortopedica, nel frattempo avevo continuato a lavorare come ortopedico, la posizione del posto di lavoro, prima provvisoria, poi di ruolo. Poi c'erano dei concorsi per i passaggi interni, i vari gradi di assistente, aiuto e primario. Ho fatto un'idoneità primariale con un altro esame di Stato, fatto a Roma. Nel frattempo mi sono iscritto anche alla specialità di Fisioterapia e di Riabilitazione, come branca attinente. Ho sviluppato anche questa seconda specialità, e dopo una ventina d'anni di lavoro ospedaliero in ortopedia, mi sono sempre occupato di chirurgia del piede: traumatologia. Ritengo che il lavoro ospedaliero sia fondamentale per la preparazione del chirurgo, e quindi i chirurghi ( è un'idea mia personale) cresciuti esclusivamente in case di cura non possono avere la preparazione di una persona che si è abituata sull'urgenza .

L'ortopedia è la branca chirurgica più vasta di tutte e  offre anche le possibilità di inventiva e di metterci qualcosa di tuo nell’intervento chirurgico: perché se ti trovi davanti a delle lesioni che non sempre sono uguali e ripetibili, come le lesioni da schiacciamento e per traumi.Le ferite non sono sempre tutte uguali, mentre il chirurgo generale generalmente pur trovandosi di fronte alle sue complicazioni e variazioni opera su interventi già codificati, pianificati, oppure, anche nell’urgenza, le lesioni difficilmente variano come nella branca ortopedica. Il chirurgo generale, quando opera le cisti, sa che deve fare quel determinato tipo di lavoro, nell'appendicite acuta quello è, pur nell’urgenza; mentre nel traumatismo deve arrangiarsi, e certe volte sistemare come può anche davanti a delle situazioni che non prevedeva. Dopo questi anni di lavoro ospedaliero, ho avuto l'occasione di poter passare ad un servizio diverso: in una casa di cura, dove ho svolto un lavoro accreditato convenzionato, in un servizio, come ti dicevo, che ha un volume di lavoro enorme; volume di lavoro equiparabile sicuramente a un reparto ospedaliero. Qui naturalmente noi non lavoriamo più sull’urgenza e sulla traumatologia, bensì sulle elezioni, cioè sugli interventi programmati e programmabili di chirurgia ortopedica. Tu sai che nella nostra branca c'è una divisione tra traumatologia, quindi traumi fratture e lavoro d’urgenza, e la branca di ortopedia in cui ci si occupa della correzione di deformità congenite o acquisite: quindi noi non lavoriamo quasi mai sull'urgenza, bensì su interventi programmati.

Q: Abbiamo toccato il discorso ‘teoria e pratica’, ‘lavoro e studio’: quali secondo lei le maggiori sensazioni provate quando si è dovuti passare dalla teoria dei banchi universitari all'applicazione pratica invece della professione chirurgica ortopedica nel suo caso.

A: La prima volta che tocchi con mano, o ti fanno fare qualcosa, sono sensazioni che non dimentichi più perché puoi immaginare 100 volte cosa si può provare a tagliare con un bisturi, ma fino a quando non lo fai, la consistenza dei tessuti e quello che provi, lo provi solo facendo con la pratica, mettendoci mano. Devo dire la verità, tranne le sensazioni e le emozioni provate nelle prime volte, che rimangono dentro tutta la vita, per il resto non c'è stata una grande difficoltà: la preparazione che si riceve dal punto di vista universitario, sicuramente più teorica che pratica, nel momento in cui la devi mettere devi avere vicino un tutor, o qualcuno che ti possa guidare. Se hai avuto un buon percorso prima, sicuramente ce l'avrai anche dopo.

Q: Per quanto riguarda questo discorso di un tutor che dà consigli, se lei fosse un tutor, che consigli darebbe ad un neolaureato che si appresta ad entrare nel mondo del lavoro?

A: Io penso che ognuno trova la sua strada, senza bisogno di grandi consigli esterni. Quando ti laurei in medicina e chirurgia, più o meno hai già capito quale sarà la tua strada futura. I consigli potrebbero essere sul luogo del lavoro, sulla scelta di un ambiente molto qualificato per poter avere delle basi solide per poter esercitare la tua professione futura. Devi investire qualcosa immediatamente, su una base molto solida, per poter crescere con fondamenta molto sicure. È l'unico consiglio che mi sentirei di dare, poi le cose vengono da sole, scalino dopo scalino.

Q: Da quanto già detto precedentemente riguardo la sua personale carriera lavorativa, mi pare di aver capito che c'è stato un primo periodo di lavoro in ospedale o in una struttura convenzionata, per passare comunque a un lavoro che mescolava le due cose, il privato e lo statale. Se ci sono quali sono i pro e contro di queste due possibili strade da percorrere nella propria carriera lavorativa?

A: Il lavoro ospedaliero è fondamentale per crearsi una base di pratica che, nelle altre strutture, non potrai mai avere. La pratica e l'esperienza sono fondamentali per poter riuscire a trarsi d'impaccio anche in eventuali situazioni critiche, che inevitabilmente poi nella vita professionale si possono presentare o si presenteranno. Quindi la preparazione che acquisisci nell’ambiente ospedaliero è insostituibile. A mio avviso l’ambiente ospedaliero è un ambiente affascinante soprattutto in certi tipi di reparto, nella fattispecie i reparti d'urgenza: che sia di medicina o che sia di chirurgia d'urgenza o chirurgia ortopedica, c'è qualcosa di più che ti unisce e fa sì che si creino automaticamente degli affiatamenti nell’equipe che secondo me sono a dir poco affascinanti.

Q: Ultimo argomento riguardo la sua professione, spesso se ne sente parlare, è lo stress e la responsabilità, due fattori correlati alla figura professionale del medico. Lei come vive questi due fattori, appunto lo stress e la responsabilità?

A: Lo stress per il chirurgo è inevitabile. Quando operi, a meno che non ci siano degli interventi altamente routinari, sei un po' come un pilota in pista. Non si può sbagliare, non è concesso: la tensione è sempre massima, anche negli interventi comuni. L’ho provato su me stesso: il battito cardiaco e il ritmo del respiro, monitorati all'inizio dell'intervento e alla fine dell'intervento, sono chiaramente diversi. Lo stress sia psichico che fisico c'è in ogni caso: più la situazione è complessa più lo stato di stress aumenta. Dipende dal singolo soggetto, cioè dal singolo chirurgo: c'è gente che lo stress lo sopporta meglio di altri che non lo sopportano affatto. D'altronde quando decidi di fare il pilota da caccia militare, sai che la tua vita non sarà su una sedia a dondolo: di conseguenza l'impostazione mentale ci deve essere comunque. Devi essere preparato allo stress altrimenti non ti metti a fare queste specializzazioni. Per quanto riguarda il problema di natura medico-legale, la responsabilità ce l'hai in prima persona con l’autocoscienza. Nei confronti del paziente poi c'è un grosso problema che si sta ingigantendo a dismisura, probabilmente in maniera sbagliata dal punto di vista legale: i chirurghi oggigiorno sono un po' sotto pressione da questo punto di vista, e probabilmente ciò è dovuto ai modelli americani che noi stiamo seguendo. Ci sono delle richieste di risarcimento continue da parte di pazienti, che presumono di essere o di fatto sono stati maltrattati. Questo fa sì che certi tipi di specializzazione vengono anche ad avere una carenza di medici, proprio per l'alta eccedenza di richieste di risarcimento. Pensa che addirittura in America si stanno inquadrando delle carenze di chirurghi su certe branche specialistiche proprio per l'altissima eccedenza di richieste di risarcimento. Arriviamo al paradosso che non troveremo più chirurghi disposti a metterci le mani su perché se hai un grosso problema, c'è una grossa incidenza di rischio per me dal punto di vista medico legale di operarti e allora mi dispiace non ti opero.