Learning Paths » 5A Interacting
Q: Abbiamo quindi terminato la seconda e penultima fase dell'intervista. Adesso io volevo passare al discorso estero per cui le chiedo: ritiene che il lavoro all'estero sia più qualificante rispetto a quello italiano?
A: Ritengono che siamo qualitativamente in ottime condizioni in Italia. Si sa l'italiano soffre sempre di esterofilia: penso che in Italia lavoriamo molto bene e che le strutture siano di buona qualità. Dove penso si potrebbe fare un po' di più: all'estero in alcuni posti sono uno scalino davanti a noi nella ricerca. Penso che bisogni investire di più nella ricerca.
Q: Sempre legato al discorso ‘studiare lavorare’ all'estero: la lingua inglese in ambito medico, e quindi per la medicina. Cosa ne pensa livello anche suo personale, e a livello più generale quali sono le considerazioni del possedere e del lavorare con una lingua diversa dall’italiano?
A: La conoscenza della lingua inglese è fondamentale dal punto di vista scientifico. L'inglese si impara velocemente, con facilità, non ci sono grossi problemi. Però un'ottima conoscenza dell'inglese è fondamentale dal punto di vista medico e in ogni genere di professione.
Q: Passiamo quindi all'ultimo argomento a cui volevo sottoporre la sua attenzione. Le relazioni umane: io sento di avere una certa passione per le persone e per le relazioni umane; un dottore un medico chirurgo ortopedico come lei, come affronta se deve affrontare nella sua attività quotidiana delle relazioni umane? Con i pazienti con i colleghi o altro.
A: Il rapporto medico paziente è sempre particolare: bisogna sempre cercare di capire con che tipo di persona ti stai relazionando, valutare anche il tipo di problema. Ci sono soggetti ansiosi o meno, ci sono soggetti che tendono a sottovalutare, altri che ipervalutano. Il problema fondamentale è il tipo di patologia di base: finché si tratta di patologie recuperabili più o meno facilmente, il discorso è relativamente semplice. Quando ti trovi davanti ad una patologia di altra natura, molto pesante come quella tumorale, chiaramente il discorso cambia: bisogna avere una certa sensibilità, che forse non è proprio appannaggio di tutti. Penso che bisogni sempre pensare e fare il meglio per trovarsi dall'altra parte della barricata.
Q: Prima sentivo parlare di queste equipe di medici per lavorare a livello super specialistico: quindi qual è il rapporto che si instaura fra colleghi in queste equipe?
A: L’equipe si forma, come dicevo prima, in maniera quasi automatica. Quando lavori su un'urgenza, c'è una sorta di filo conduttore che unisce. Dal punto di vista della chirurgia di elezione è fondamentale che si crei questo filo: in sala operatoria durante, l'esecuzione di un intervento chirurgico non è certo da sottovalutare anche dopo, durante il periodo di ospedalizzazione o postoperatoria del paziente, è fondamentale che ci sia un feeling e una collaborazione molto stretta tra i vari professionisti che seguono il paziente, in maniera tale da poter ottimizzare il trattamento.
Q: Volevo chiederle: realtà come medici senza frontiere o altre simili sono delle esperienze, delle possibilità che possono essere accolte? Come è possibile partecipare a un progetto del genere? Cosa ne guadagna materialmente o a livello anche più morale o umano il medico?
A: Penso che l'esperienza di portare la propria professionalità nel terzo mondo sia eccezionale. Ci si trova a scontrarsi con delle problematiche completamente diverse e talvolta anche con delle patologie a cui non siamo addirittura più abituati, perché ti cali in realtà di 100 anni fa: trovi della deformità congenita, delle alterazioni che da noi (io parlo dal mio punto di vista specialistico ortopedico) ormai i giovani trovano soltanto sui libri di testo. Penso che a parte l'entusiasmo di un giovane che possa aver voglia di prestare la propria opera in situazioni di questo genere, sia forse ancora più importante che esperienze di questo genere le facciano dei medici e dei chirurghi già formati, in maniera tale da portare un apporto qualificato. Ci si trova però molto spesso a combattere contro un'assoluta mancanza di mezzi e strutture, e quindi la tua professionalità non la puoi esplicare perché mancano i mezzi tecnici per poterla mettere in atto. Quando anche dal punto di vista traumatologico ortopedico ti trovi nell'impossibilità di fare qualsiasi cosa perché operi in una capanna senza strumenti, solo chirurgia demolitiva puoi fare. D'altra parte, come mi è stato riferito da colleghi che si sono trovati in queste situazioni, o così o niente, e di conseguenza qualsiasi tipo di aiuto che puoi dare è sempre meglio di niente.
Q: Siamo giunti quindi al termine di questa intervista, e volevo darle la possibilità, se vuole, si dare un ultimo giudizio o qualcosa che lei si sente voler aggiungere a questo intervento.
A: Direi che io sono felice di quello che ho fatto, delle scelte che ho fatto. Posso dire serenamente e tranquillamente che non avrei potuto fare altro, sono entusiasta del mio lavoro, mi piace e mi ha preso completamente. Rifarei esattamente le stesse identiche cose. Ritengo che se si parte dall'inizio con un'idea chiara e con l'entusiasmo e la voglia di fare si arriva sicuramente a soddisfare i propri desideri, le proprie passioni, ed esser felici di quello che si fa; perché penso che essere contenti del lavoro che si fa è una delle cose più importanti della vita.
A: Io la ringrazio molto per il tempo che mi ha dedicato, spero che l'intervista sia stata anche utile per il progetto di cui è parte. Non mi resta che ringraziarla ancora e salutarla.
Q: Ringrazio per l'opportunità che mi hai dato, è stato un grande piacere Piero.