In accordo con Robin (o, più precisamente, in accordo con gli scrittori che hanno influenzato il suo pensiero su queste tematiche), non c’è altra cosa più dell’“identità” su cui il capitalismo e il romanzo classico sono fondate - cioè, una finita, unica anima o essenza che costituisce l’identità della persona; c’è solo una posizione soggettiva in una rete infinita di discorsi - lei discute di potere, sesso, famiglia, scienza, religione, poesia, ecc. E dallo stesso principio non c’è altra cosa come un autore, cioè, uno che dà origine a un lavoro o a un’opera narrativa ab nihilo.Ogni testo è un prodotto dell’intertestualità, un tessuto di illusioni a e citazioni di altri testi; e, nelle famose parole di Jacques Derrida (famoso alle persone come Robyn, in ogni caso), il n’y a pass de horse  - texte, non c è nulla al di fuori del testo. Non ci sono origini, c’è solo produzione, e noi produciamo noi stessi nella lingua. Non “sei quello che mangi”, ma “sei quello che parli” o “piuttosto sei ciò che parla di te”, è la base assiomatica della filosofia di Robyn, che lei chiamerebbe se bisognasse darle un nome, materialismo semiotico. Potrebbe sembrare un po’ triste, un po’ disumano (“antiumano , sì; disumano, no,” lei interverrebbe), qualcosa di deterministico (per niente; il soggetto veramente determinato è lui che non è consapevole delle formazioni discorsive che lo determinano. O la,” lei aggiungerebbe scrupolosamente, essendo prima di ogni altra cosa una femminista), ma in pratica questo non sembra influenzare il suo comportamento in modo così significativo - lei sembra avere ordinari sentimenti umani, ambizioni,desideri, di soffrire d’ansie, frustrazioni, paure, come nessun altro in questo mondo imperfetto, e avere una naturale inclinazione nel provare e renderlo un posto migliore. Io quindi prenderò la libertà di trattarla come un personaggio, non completamente diverso in tipo, sebbene certo appartenente a una specie sociale molto diversa, da Vic Wilcox.