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TRADIZIONE E TALENTO
INDIVIDUALE ( 1920 )
Di rado in letteratura inglese parliamo di tradizione, e
soltanto occasionalmente facciamo ricorso a questo termine, per deplorarne
l'assenza. Non si dà, nella nostra lingua, il riferimento alla 'tradizione' o a
'una tradizione'; al massimo facciamo ricorso all'aggettivo, per dire che la
poesia del tale è 'tradizionale' o addirittura 'troppo tradizionale'. Il
sostantivo invece compare raramente, e semmai, forse, in frasi di censura. E se
compare con una vaga sfumatura elogiativa, essa implica, nell'opera lodata, un
certo gradevole retrogusto di ricostruzione archeologica. È difficile rendere
bene accetta questa parola alle orecchie di un pubblico inglese senza il
conforto dell'allusione alla rassicurante scienza dell'archeologia. È certo,
comunque, che la parola 'tradizione' ha ben poche probabilità di comparire
nella nostra valutazione di autori morti o viventi. Ogni nazione, ogni popolo
ha - non solo negli aspetti creativi ma anche in quelli critici - suoi propri
atteggiamenti mentali, e tende a ignorare le manchevolezze e i limiti
delle sue abitudini critiche ancor più dei limiti del suo genio creativo.
Noi conosciamo, o crediamo di conoscere, in base all'enorme massa di
letteratura critica apparsa in lingua francese, il metodo o l'abito critico dei
francesi; e ne concludiamo solamente (tanto siamo inconsapevoli, noi inglesi)
che i francesi sono "più critici" di noi; di questo fatto, talvolta,
addirittura ci pavoneggiamo un po', come se i francesi per questo motivo
fossero meno spontanei. E forse è vero che lo sono; ma noi dovremmo ricordarci
che la critica è inevitabile come il respiro, e che noi non saremmo certo
sminuiti se esprimessimo in modo articolato quello che ci passa per la mente
quando leggiamo un libro, le emozioni che proviamo, se insomma sottoponessimo a
critica la nostra mente proprio nel suo lavorio critico. Uno degli elementi che
potrebbero venire alla luce in questo processo è la nostra tendenza a
sottolineare, quando lodiamo un poeta, quegli aspetti della sua opera in cui
egli meno somiglia ad altri. In questi aspetti o in queste parti della sua
opera noi pretendiamo di rintracciare quel che è il tratto individuale, la
sostanza peculiare di quell'autore. Ci soffermiamo con soddisfazione sulla
differenza di un dato poeta rispetto ai suoi predecessori, specialmente a
quelli immediatamente precedenti; ci sforziamo di trovare qualcosa che possa
essere isolato come unico, e ne traiamo godimento. Se invece ci accostassimo a
un poeta senza alcun pregiudizio, spesso scopriremmo che le parti non solo
migliori ma anche più originali delle sue opere sono forse quelle in cui i
poeti già morti, i suoi antenati, dimostrano con maggior vigore la loro
immortalità. E non intendo riferirmi alle opere composte negli anni
dell'adolescenza - l'età più sensibile alle suggestioni - bensì proprio alle
opere della piena maturità.
Se tuttavia la sola forma di tradizione, di trasmissione, consistesse nel
seguire le strade della generazione immediatamente precedente, con una cieca e
timida adesione ai successi già conseguiti, la 'tradizione' andrebbe senz'altro
scoraggiata. Ne abbiamo visti tanti, infatti, di rivoli che presto si
disperdono nella sabbia; e certo la novità è preferibile alla ripetizione. La
tradizione è però una questione di significato molto più ampio. La tradizione
non si può ereditare, e se la si vuole la si deve conquistare con grande
fatica. Essa implica, in primo luogo, il senso storico, che è pressoché
indispensabile per chiunque voglia continuare a dirsi poeta dopo i venticinque
anni. E il senso storico implica non soltanto la percezione della qualità
dell'essere ‘passato' del passato, ma la percezione della sua ‘presenza'; il
senso storico costringe un autore a scrivere non solo insieme alla propria
generazione, di cui egli è la concreta incarnazione, ma lo spinge a scrivere
anche con la sensazione che l'intera letteratura europea a partire da Omero (e
in essa tutta la letteratura del proprio paese) ha una esistenza simultanea e
compone un ordine simultaneo. Questo senso storico - che è senso
dell'a-temporale come del temporale, e dell'a-temporale e del temporale insieme
- è ciò che rende uno scrittore ‘tradizionale'. Ed è allo stesso tempo ciò che
rende uno scrittore più acutamente consapevole della sua posizione nel tempo,
della sua propria contemporaneità.
Non c'è poeta, non c'è artista di nessun'arte, che abbia un significato
compiuto se preso per sé solo. La sua importanza, il giudizio su di lui, è il
giudizio del suo rapporto con i poeti e gli artisti del passato. Non è
possibile valutarlo da solo; bisogna collocarlo, per giustapposizione e
confronto, tra i morti. Questo rappresenta per me un principio di critica
estetica, non di semplice critica storica. La necessità che il poeta si adatti
al passato, che vi si inserisca in modo coerente, non lo riguarda
unilateralmente; quel che accade quando si crea una nuova opera d'arte, è
qualcosa che accade contemporaneamente a tutte le opere d'arte che l'hanno
preceduta. I monumenti esistenti compongono fra di loro un ordine ideale, che
si modifica con l'introduzione tra essi della nuova (veramente ‘nuova') opera
d'arte. L'ordine esistente è in sé completo prima che arrivi l'opera nuova;
perché l'ordine persista dopo la comparsa della novitas, l'intero ordine
deve essere, sia pur in misura minima, alterato. E così i rapporti, le
proporzioni, i valori di ogni opera d'arte si correggono rispetto
all'insieme: è, questa, la relazione di conformità tra vecchio e nuovo.
Chiunque condivida questa idea di ordine, della forma che è propria alla
letteratura europea, e alla letteratura inglese, non troverà assurdo il fatto
che il passato sia modificato dal presente, così come il fatto che il presente
sia indirizzato dal passato. E il poeta che sia consapevole di questo, sarà
anche consapevole delle grandi difficoltà e delle responsabilità che lo
attendono