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I CELTI DEL FRIULI - I KARNI
Come quasi tutte le regioni del nord e del centro Italia, il Friuli Venezia Giulia ha radici celtiche, è stata in epoca preromana variamente attraversata dalla frontiera fra Celti e Veneto - Istri. Sicuramente celtica era la popolazione dei Galli Carni, stanziati appunto nella Carnia, la parte settentrionale, montuosa del Friuli. Un probabile etimo celtico è il nome del capoluogo regionale, Trieste ("Tergeste" in età romana) che deriverebbe dalla parola celtica "terges", "mercato". Se ci si reca a Cividale, l'antica "Forum Julii" che ha dato il nome alla regione, e ne era il centro più importante in età antica prima di essere oscurato in questo ruolo da Aquileia, è possibile visitare, oltre al bellissimo tempietto longobardo, l'ipogeo celtico, una grotta che in età antica era un luogo di culto. Nei pressi della provincia di Trieste, si trova invece una grande tavola di pietra circondata da monoliti, ed il luogo è conosciuto come "I Druidi" sebbene l'attribuzione celtica sia tutt'altro che certa.
Negli ultimi anni, la situazione di disinteresse ha subito un ribaltamento a novanta gradi; quasi di colpo sono esplosi la passione, l'interesse, l'entusiasmo per il mondo celtico, supportati da un moltiplicarsi di iniziative che vanno dalle mostre ed i convegni archeologici agli stage di artigianato e di danza celtica. Forse l'ingresso nel nuovo millennio ha dato a molti la sensazione di un mutamento epocale, un'età nuova nella quale abbiamo cominciato incerti a muovere i primi passi, e dove allora si potrebbe trovare sicurezza ed il senso di un'identità se non partendo dalla riscoperta del passato, delle proprie radici?
La prima data storica riconosciuta ufficialmente per questo territorio senza nome è quella riportata da Tito Livio: "In quello stesso anno (181 a.c.) fu in terra di Galli fondata la città di Aquileia". Egli, scrivendo la sua storia circa 120 anni dopo questa deduzione li chiama Galli come oramai i Romani solitamente li nominavano specie dopo gli interessanti racconti di Giulio Cesare. Ma di lì a breve anche lui imparò a distinguerli da altri popoli, chiamandoli con il loro vero nome: Karnii.
Ma da dove deriva l'attribuzione dei nomi CARNIA e CARNI dati dai Romani a questa terra e a questo popolo? Due sono le tesi ritenute più probatorie per rispondere a questo quesito: la prima pone l'attenzione sulla radicale KAR, supponendo che questa in celtico significasse "ROCCIA", legata al suffisso NA, darebbe ad intendere che i Carni fossero la "GENTE DEI MONTI".
La seconda, più probabile, riprende l'originale radicale Car, che usata e scritta nella lingua friulana diventa "çjar". Questo può far supporre che, dato il suono duro ed inconsueto per greci e romani, sia stato adottato alla lettera K. Così ad esempio dal friulano çjargne (Carnia-Karni) o çjarinsie (Carinzia-Karnten). Invece l'etimologia della parola CELTI-GALLI deriva da una romanizzazione dei nomi Keltoi o Galatai conosciuti probabilmente dagli Etruschi e dai PALEOVENETI per chiamare quei popoli stanziati al dì là delle Alpi e già conosciuti nel sec. IX o VIII a.c.
Da dove provenivano questi popoli? Gli storici fanno risalire la loro prima comparsa ufficiale nella storia intorno al II° Millennio A.C. quando i popoli Indo-Europei che abitavano nella zona continentale dell'Europa centro-orientale si dividevano in due netti tronconi: uno marcerà verso oriente invadendo l'India, l'altro si dirigerà verso l'Europa Occidentale.
Ma quali tracce fisiche ci restano dei Celti?
Se da un lato il passaggio "morbido" dei karni sotto l'amministrazione romana portò ad una sovrapposizione di usi e costumi che, a tutt'oggi, rendono difficile l'individuazione di reperti e testimonianze di chiara matrice celtica anche in Carnia, dall'altro lato consentì a queste tribù celtiche di mantenere più a lungo le proprie caratteristiche culturali e lasciarne i segni per lungo tempo.
Si tratta del più conosciuto fra i racconti in friulano della scrittrice e poetessa Caterina Percoto nata in un paese vicino a Manzano nel 1812. Vi si racconta di una leggenda carnica che vede come protagoniste delle "streghe", o fate, che scendono dalla Gjermanie a rinsaldare l'amicizia fra i popoli che erano stati uno vicino all'altro per secoli. Un tempo dorato che, forse, la scrittrice, vivendo in un periodo particolarmente travagliato della storia del Friuli, auspicava che tornasse. In esso vi sono anche specifici riferimenti all'intervento, per lo più distruttivo, degli esseri umani nei confronti della natura. Una natura che fu al centro della cultura celtica. Ciò che di quella cultura potrebbe essere rimasto fino ai giorni nostri e nella tradizione, comune in diversi aspetti, di molte parti del Friuli, sempre alla natura si riferisce, ai suoi fenomeni, alle sue manifestazioni, alla paura dell'uomo di
"offenderla" o di propiziarsela per garantirsi la sopravvivenza.
I ritrovamenti archeologici a supporto di una significativa e cronologicamente documentata presenza celtica in Carnia, quella, per intenderci, riferita dalle fonti classiche, restano comunque ancora pochi. Gli scavi di Misincinis, nella vallata dell'Incarojo, vicino a Paularo hanno portato alla luce 105 tombe dove le tracce di diverse popolazioni si stratificano nei corredi funebri. Ne "La necropoli di Misincinis dopo lo scavo" pubblicazione in
occasione della mostra di Paularo agosto-settembre 1998. La Carnia resta comunque un
territorio dove la natura esprime tutta quella potenza e quella forza che fu alla base della cultura celtica ma anche di una popolazione che ha sempre vissuto la propria condizione con dignità, orgoglio e profondo senso di libertà culturale e politica.
Trarre le conclusioni di questa rapida e probabilmente meno completa di quanto dovrebbe essere, carrellata attraverso circa tre anni di iniziative legate alla riscoperta del mondo celtico, non è facile, anche perché si tratta di una storia in divenire. Sicuramente, non si può liquidare la cosa come una semplice moda: se la riscoperta del mondo celtico incontra un interesse sempre crescente, è perché essa tocca una corda profonda nel cuore di molti, una nostra radice che avevamo bisogno di riscoprire, e questo è sicuramente un fatto altamente positivo. Soltanto con la consapevolezza di se stessi che deriva dalla conoscenza del passato, si può guardare con fiducia all'avvenire.