Textuality » 5BLS Interacting
Ricordiamoci dell’11 settembre
Giuseppe Conte – Il fuoco che produce luce e fumo (2002)
Analisi
Con queste parole il poeta, G. Conte, rievoca la drammaticità di quanto successo l’11 settembre, soffermandosi sul momento dello schianto e su quanto immediatamente successo: si parte dapprima con un fuoco fulmineo, indicante lo schianto dell’aeroplano sulla prima torre, per poi arrivare a “la nebulosa orrenda di carburante e carne, di sangue e di materia cerebrale”. Il poeta, quindi, analizza nella sua poesia l’attacco in maniera cronologica e studia le conseguenze del crollo. Dopo il crollo, infatti, New York “si è fatta subito fumo grigio, mortale, che si espandeva e cancellava, fumo d'odio e di buio” ancora “apoteosi della polvere, della calce che ricoprivano volti d'uomini, vie, automobili” per concludere paragonando la città post-crollo “come se avessero preso dominio gli Inferi”.
Nella seconda parte, invece, l’autore si sofferma, ripetendo il verso iniziale, come tutti abbiamo il dovere di pregare per le vittime e perché ciò non accada mai più; ma dice inoltre che il Dio da pregare (egli utilizza rigorosamente la lettera maiuscola, rimandando al Dio abramitico e entrando in conflitto con quanto vuol dire) non dev’essere il Dio di chi scrive o un dio qualunque (rimanendo quindi sul vago): egli specifica che ognuno deve pregare il suo dio, riportandosi quindi al concetto di uguaglianza religiosa. Ma questo Dio non dev’essere un Dio assassino, ossia un dio che vuole guerre sante o odi verso gl’altri: dev’essere un Dio “che ci sorrida bambino” con la sua innocenza e con il suo candore.